giovedì 12 aprile 2018

San Giuseppe Moscati Laico




Giuseppe Moscati fu uno dei medici più conosciuti della Napoli d’inizio Novecento. Per la sua capacità di coniugare scienza e fede, è riconosciuto come Santo dalla Chiesa cattolica a partire dal 1987. Ancora oggi riceve visite da persone di ogni parte del mondo, non solo per le infermità fisiche, ma anche per i mali che colpiscono l’animo degli uomini del nostro tempo.
Contrariamente a quanto si possa credere, non nacque a Napoli, ma a Benevento, il 25 luglio 1890, da Francesco Moscati, magistrato, e Rosa de Luca; fu il settimo dei loro nove figli. Si trasferì nel capoluogo campano quando aveva quattro anni, dopo una breva permanenza ad Ancona, per via del lavoro del padre.
L’8 dicembre 1888 ricevette la Prima Comunione da monsignor Enrico Marano nella chiesa delle Ancelle del Sacro Cuore, fondate da santa Caterina Volpicelli. Studiò presso il liceo «Vittorio Emanuele»; dopo il conseguimento del diploma di maturità classica, nel 1897, iniziò gli studi universitari presso la facoltà di Medicina. Il motivo di quella scelta, di rottura rispetto alla tradizione familiare (oltre al padre, anche suo nonno paterno e due fratelli avevano studiato Giurisprudenza), è forse dovuto al fatto che, dalla finestra della nuova abitazione, poteva osservare l’Ospedale degli Incurabili, che suo padre gl’indicava suggerendogli sentimenti di pietà per i pazienti ricoverati.
Il primo ammalato con cui ebbe a che fare suo fratello Alberto, il quale, caduto da cavallo, subì un trauma cranico, che gli produsse una forma di epilessia. Quest’evento persuase il giovane da una parte della brevità della vita umana, dall’altra di doversi dedicare interamente alla professione medica. Nel frattempo, il 2 marzo 1898, fu cresimato da monsignor Pasquale de Siena, vescovo ausiliare del cardinal Sanfelice, arcivescovo di Napoli.
All’epoca la facoltà di Medicina, insieme a quella di Filosofia, era quella più influenzata dalle dottrine del materialismo. Tuttavia Giuseppe se ne tenne a distanza, concentrandosi sulla preparazione degli esami. Concluse gli studi il 4 agosto 1903 con una tesi sull’urogenesi epatica, laureandosi col massimo dei voti.
Nemmeno tre anni dopo, iniziò a emergere la sua capacità di agire tempestivamente: dopo aver assistito alle prime fasi dell’eruzione del Vesuvio dell’8 aprile 1906, si precipitò a Torre del Greco, dove gli Ospedali Riuniti di Napoli avevano una sede distaccata, e trasmise l’ordine di sgombero, caricando personalmente i pazienti, molti dei quali paralitici, sugli automezzi che li avrebbero condotti in salvo. Appena l’ultimo paziente fu sistemato, il tetto dell’ospedale crollò. Per sé il giovane medico non volle encomi, ringraziando invece il resto del personale, a suo dire più meritevole. Nell’epidemia di colera del 1911 fu invece incaricato di effettuare ricerche sull’origine dell’epidemia: i suoi consigli su come contenerla contribuirono a limitarne i danni.
Tra gli elogi che arrivavano da parte del mondo accademico, gli giunse anche la vittoria in un importante concorso, che lo inserì a pieno titolo nell’attività dell’Ospedale degli Incurabili. Portava avanti in parallelo l’esercizio della professione e la libera docenza universitaria. Furono numerose anche le sue pubblicazioni su riviste di settore e le partecipazioni a congressi medici internazionali.
Un insegnamento di rilievo gli veniva dalle autopsie, nelle quali era tanto abile che, nel 1925, accettò di dirigere l’Istituto di anatomia patologica. Un giorno convocò i suoi assistenti nella sala delle autopsie per mostrare loro non un caso clinico, ma la vittoria della vita sulla morte: «Ero mors tua, o mors», come diceva un cartello sovrastato da un crocifisso, fatto sistemare da lui su una delle pareti. In altri casi, mentre esaminava i cadaveri, fu udito affermare che la morte aveva qualcosa d’istruttivo.
Non che fosse un personaggio cupo, tutt’altro. I suoi parenti e colleghi testimoniarono che dalla sua persona promanava un fascino distinto, che lo rendeva di buona compagnia. Era anche molto attento alla natura, all’arte e alla storia antica, come si evince dal racconto di un viaggio in Sicilia.  Non si concedeva altri svaghi come andare a teatro o al cinema e non aveva neppure un’automobile sua, preferendo spostarsi a piedi o coi mezzi pubblici, anche sulla lunga distanza.
Erano tutti modi con cui si esercitava a conservarsi sobrio e povero, come gli ammalati che prediligeva visitare. Numerosi sono i racconti di pazienti che si videro recapitare indietro la somma con cui l’avevano pagato, anche se ne aveva diritto essendo venuto da lontano. I poveri, per lui, erano «le figure di Gesù Cristo, anime immortali, divine, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi». Viene quasi alla mente l’espressione che papa Francesco ha più volte pronunciato, definendoli “carne di Cristo”, quindi scendendo nel concreto della corporeità e del dolore. Il dottor Moscati insegnava a trattare questa manifestazione «non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità».
E proprio la carità era, secondo lui, la vera forza capace di cambiare il mondo, come scrisse nel 1922 al dottor Antonio Guerricchio, un tempo suo assistente: «Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini son passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene».
Nel dottor Moscati la scienza era compenetrata da un’acuta capacità diagnostica, tanto più sorprendente se si pensa che, alla sua epoca, erano sicuramente noti i raggi X, ma non le tecniche con le quali oggi s’indaga l’interno degli organi, come la TAC o altre. I sintomi che altri riconducevano a malattie di un certo tipo erano da lui riferiti a cause di natura diversa, per le quali disponeva terapie il più delle volte benefiche. Oltre ai suoi prediletti, ebbe due pazienti celebri: il tenore Enrico Caruso, a cui rivelò – dopo essere stato tardivamente consultato – la vera natura del male che lo condusse alla morte, e il fondatore del santuario della Madonna del Rosario di Pompei, il Beato Bartolo Longo.
Tutte queste doti traevano la propria sorgente dall’Eucaristia, che riceveva quotidianamente, in particolare nella chiesa del Gesù Nuovo, non molto lontana dalla sua abitazione, in via Cisterna dell’Olio 10, dove viveva con la sorella Anna, detta Nina. Grande era anche la sua devozione alla Vergine Maria, sul cui esempio decise, nel pieno della maturità, di rimanere celibe, ma senza farsi religioso come san Riccardo Pampuri né diventare sacerdote, scelta che invece compì, a quarantacinque anni, il Servo di Dio Eustachio Montemurro. Qualcuno ha sospettato che fosse, per usare un eufemismo, incapace alla riproduzione o che avesse qualche tratto di misoginia. In realtà non si riteneva incline al matrimonio, che invece esortava ad abbracciare ai suoi giovani allievi: inoltre, se avesse preso moglie, non sarebbe più stato libero di visitare i suoi poveri.
La morte lo colse per infarto al culmine di una giornata come tante, verso le 15 del 12 aprile 1927. La poltrona dove si sedette, poco dopo aver applicato a se stesso la capacità diagnostica che aveva salvato tanti, è conservata ancora oggi, come tanti altri suoi oggetti, nella chiesa del Gesù Nuovo, grazie all’intervento della sorella Nina.
I padri Gesuiti, a cui è tuttora affidato il Gesù Nuovo, non raccolsero solo la sua eredità materiale, ma si fecero custodi del suo ricordo e seguirono l’aumento della sua fama di santità. La sua causa di beatificazione si è quindi svolta nella diocesi di Napoli a partire dal 1931. Dichiarato Venerabile il 10 maggio 1973, è stato beatificato a Roma dal Beato Paolo VI il 16 novembre 1975.
A seguito del riconoscimento di un ulteriore miracolo per sua intercessione, dopo i due necessari per farlo Beato secondo la legislazione dell’epoca, è stato canonizzato da san Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1987. In quel periodo si stava svolgendo la VII Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi su «Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a vent’anni dal Concilio Vaticano II»: non poteva esserci occasione migliore per indicarlo alla venerazione dei cattolici di tutto il mondo.
Il 16 novembre del 1930 i suoi resti vennero trasferiti dalla cappella dei Pellegrini nel cimitero di Poggioreale alla chiesa del Gesù Nuovo e collocati nel lato destro della cappella di san Francesco Saverio. Sempre il 16 novembre, ma del 1977, quindi due anni dopo la beatificazione, vennero posti sotto l’altare della cappella della Visitazione, a seguito della ricognizione canonica.

domenica 1 aprile 2018

SANTA PASQUA

 Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

PREGHIERA PER LA PASQUA
 Signore Gesù, risorgendo da morte hai vinto il peccato:
fa che la nostra Pasqua segni una vittoria completa sul nostro peccato.

 Signore Gesù, risorgendo da morte hai dato al tuo corpo
un vigore immortale:
fa che il nostro corpo riveli la grazia che lo vivifica.

 Signore Gesù, risorgendo da morte hai portato la tua umanità in cielo:
fa che anch'io mi incammini verso il Cielo,
con una vera vita cristiana.

 Signore Gesù, risorgendo da morte e salendo al Cielo,
hai promesso il tuo ritorno:
fa che la nostra famiglia sia pronta per
ricomporsi nella gioia eterna.

Così sia.


PREGHIERA A CRISTO RISORTO

O Gesù, che con la tua risurrezione hai trionfato sul peccato e sulla morte,
e ti sei rivestito di gloria e di luce immortale,
concedi anche a noi di risorgere con te,
per poter incominciare insieme con te una vita nuova, luminosa,santa.
Opera in noi, o Signore, il divino cambiamento
che tu operi nelle anime che ti amano:
fa' che il nostro spirito, trasformato mirabilmente dall'unione con te,
risplenda di luce, canti di gioia, si slanci verso il bene.
tu, che con la tua vittoria hai dischiuso agli uomini orizzonti infiniti
di amore e di grazia, suscita in noi l'ansia di diffondere
con la parola e con l'esempio il tuo messaggio di salvezza;
donaci lo zelo e l'ardore di lavorare per l'avvento del tuo regno.
Fa' che siamo saziati della tua bellezza e della tua luce
e bramiamo di congiungerci a te per sempre.
Amen.


PREGHIERA A GESU' RISORTO

O risorto mio Gesù, adoro e bacio devotamente le piaghe gloriose del vostro santissimo corpo, e per questo vi prego con tutto il mio cuore di farmi sorgere da una vita di tiepidezza ad una vita di fervore per poi passare dalla miseria di questa terra alla gloria eterna del Paradiso.


DOMENICA DI PASQUA

Domenica di Pasqua: è l’amore che corre veloce!
Corre Maria di Magdala, e corre anche Pietro:
Ma il Signore non c’è, non è più là: beata assenza! Beata speranza!
E corre anche l’altro discepolo, corre veloce, più veloce di tutti.
Ma non ha bisogno di entrare:
il cuore già sa la verità che gli occhi raggiungono più tardi.
Il cuore, più veloce di uno sguardo!
Signore Risorto: accelera la nostra corsa,
sposta via i nostri macigni, regalaci sguardi di fede e d’amore.
Signore Gesù,
trascinaci fuori dai nostri sepolcri
e rivestici della vita che non muore,
come facesti il giorno del nostro Battesimo!


BENEDIZIONE PER LA PASQUA

Effondi, Signore, la Tua benedizione sulla nostra famiglia riunita in questo
giorno di Pasqua.
Custodisci e rafforza la nostra fede in Te e il nostro amore tra di noi e verso tutti. Per Cristo, nostro Signore. Amen


SIGNORE DELLA RISURREZIONE

Gesù, Uomo della Croce,
Signore della Risurrezione,
noi veniamo alla tua Pasqua
come pellegrini assetati di acque vive.
Mostrati a noi nella gloria mite della tua Croce;
mostrati a noi nel fulgore pieno
della tua Risurrezione.
Gesù, Uomo della Croce,
Signore della Risurrezione,
noi ti chiediamo d'insegnarci
l'amore che ci fa imitatori del Padre,
la sapienza che fa buona la vita,
la speranza che apre all'attesa del mondo futuro...
Signore Gesù, stella del Golgota,
gloria di Gerusalemme e d'ogni città dell'uomo,
insegnaci per sempre la legge dell'amore,
la legge nuova che rinnova
per sempre la storia dell'uomo.
Amen.


CRISTO E' RISORTO

La vita é una festa
perchè‚ Cristo é risorto e noi risorgeremo.
La vita é una festa:
possiamo guardare il futuro con fiducia
perch‚ Cristo é risorto e noi risorgeremo.
La vita é una festa:
la nostra gioia é la nostra santità;
la nostra gioia non verrà mai meno:
Cristo é risorto e noi risorgeremo.


RISURREZIONE
(Paolo VI)

Tu, Gesù, con la risurrezione
hai compiuto l'espiazione del peccato;
ti acclamiamo nostro Redentore.
Tu, Gesù, con la risurrezione
hai vinto la morte;
ti cantiamo gli inni della vittoria:
sei il nostro Salvatore.
Tu, Gesù, con la tua risurrezione
hai inaugurato una nuova esistenza;
tu sei la Vita.
Alleluja!
Il grido É oggi preghiera.
Tu sei il Signore.


CANTIAMO ALLELUIA!

Alleluia, fratelli, Cristo è risorto! 
Questa è la nostra certezza,
la nostra gioia, questa è la nostra fede. 
Cantiamo l'alleluia della vita 
quando tutto è bello e gioioso; 
ma cantiamo anche l'alleluia della morte, 
quando, pur tra lacrime e dolore, 
inneggiamo alla vita che non muore.
E' l'alleluia della Pasqua,
del Cristo Risorto che ha vinto la morte. 
Cantiamo l'alleluia di chi crede, 
di chi ha visto il sepolcro vuoto, 
di chi ha incontrato il Risorto sulla strada di Emmaus, 
ma cantiamo anche l'alleluia per chi non ha fede, 
per chi è avvolto da dubbi e incertezze. 
Cantiamo l'alleluia della vita che volge al tramonto,
del viandante che passa,
per imparare a cantare l'alleluia del cielo,
l'alleluia dell'eternità.